Nardò Granata Forum

Sportpeople of Nardo'

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CAT_IMG Posted on 28/12/2022, 15:29
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Articolo su Sportpeople.
Parlano di noi. E pure bene.
CITAZIONE
La paura di restrizioni e divieti – soprattutto all’ultimo secondo – mi induce a preparare il mio viaggio per Nardò proprio in extremis. Cosa non propriamente facile, considerata la distanza tra la cittadina salentina e Roma (circa 650 km). Ma necessaria per evitare di buttare soldi e farsi il sangue amaro in caso di qualche strampalata e immotivata decisione di Osservatorio e compagnia cantante.

Ormai ho preso tutto ciò come una sfida personale: raccontare luoghi, stadi e tifoserie mai viste cercando sempre di abbattere gli ostacoli (fisici e temporali) che di volta in volta si pongono davanti al mio cammino. Mediamente ci riesco, e ne traggo anche soddisfazione. Quindi bene così!

Si parte alla volta di Salerno in treno e poi, da là, macchina fino a destinazione. La domenica è di quelle che invogliano ad andar fuori, godendo del bel cielo terso e di una temperatura che non sembra affatto essere dicembrina. Ma perché Nardò? Innanzitutto perché credo che da un punto di vista ultras la realtà neretina sia una di quelle storiche del panorama meridionale. Malgrado i fasti della Serie C siano ormai distanti diversi lustri (quattro per la precisione) la tifoseria granata ha mantenuto un notevole attaccamento al club e la sfida al vertice contro il lanciatissimo Barletta può offrire davvero ottimi spunti.

Inoltre da qualche anno mi è rimasta la curiosità di visitare il suo centro storico, in cui fui soltanto di passaggio senza riuscire a fermarmi. Sempre più credo che per scrivere un racconto buono si debba avere una visione sulla realtà che circonda l’evento calcistico. Arrivare in un posto, vedere la partita e tornarsene a casa di fondo lascia ben poco. È manchevole di tutta la parte antropologica, che poi spesso ti aiuta anche a capire il perché di alcuni avvenimenti in ambito curvaiolo. Non me ne vogliano gli amici groundhopper d’oltralpe, ma troppo spesso li vedo arrivare trafelati nel Belpaese per seguire magari tre incontri nello stesso giorno, macinando in fretta e furia chilometri di autostrada senza capire neanche lontanamente dove si trovino e quali storie ci possano essere dietro.

Anche a costo di svegliarmi quando il sole deve ancora sorgere e arrivare in serata stanco morto, uno sguardo alla città, al centro, a una piazza, a un qualcosa di significativo, devo darlo. E poi, francamente? È un modo davvero spassoso per leggere, studiare e ampliare il proprio bagaglio culturale.

Come per gran parte degli insediamenti salentini, anche Nardò affonda le sue radici lontanissimo. Se ne fa cenno già nel VII secolo a.C., come centro abitato dai Messapi. Mentre il passaggio di greci, romani, bizantini, normanni, longobardi e angioini è tangibile sia nella zona del centro storico che nei suoi dintorni. Avendo una considerazione storico/temporale perlopiù romano-centrica, è quasi inevitabile che l’attuale nome derivi dalla trasformazione della desinenza illirica Nar (acqua, probabilmente a causa di un’importante falda presente in città nel passato) nel greco Neriton prima, nel latino Neretum successivamente e, infine, nell’attuale nome.

Un cenno storico che ci aiuta a capire anche l’araldica calcistica. Del resto non è un caso che a sormontare le maglie del Nardò sia proprio il toro, simbolo cittadino ben impresso nella fontana realizzata dallo scultore Michele Gaballo in Piazza Salandra, ormai 92 anni fa. Opera che alberga laddove leggenda vuole che un toro, scavando il terreno con lo zoccolo, fece sgorgare l’acqua dando i natali alla città.

Menzionare taluni passaggi storici (e leggendari) non può che farmi ricordare con una certa vividezza la Brigata Neretum, di cui ammetto di aver avuto una sciarpa nell’epoca del collezionismo sfrenato e delle mattine passate ad agghindare la mia cameretta con ogni tipo di materiale proveniente dalle curve. Oggi quel gruppo non c’è più e l’evolversi delle generazioni all’interno del tifo neretino ha portato nuovi assetti, che sembrano tuttavia aver mantenuto attivo il modus vivendi delle gradinate, confermando i supporter granata come una certezza tra le piccole piazze.

Capisco quanto il Nardò sia sentito dalla cittadinanza nell’esatto momento in cui entro nel centro storico, trovando vicoli e vicoletti ricoperti di adesivi e addirittura sciarpe granata. Mentre nel baretto dove ci fermiamo a sorseggiare un caffè entrano alla rinfusa alcuni ragazzi con la sciarpa granata, scambiando opinioni sulla squadra con la ragazza addetta al banco e lasciando intendere che da queste parti retrocessioni e campionati anonimi non abbiano scalfito un’importante cultura sportiva lontana dai grandi palcoscenici della Serie A. Più identitaria e locale. Una base che dev’essere importante anche per portare avanti un discorso di tifo organizzato di una certa levatura.

Ma andiamo con ordine: manco a dirlo, una volta entrati nella pancia dello stadio Giovanni Paolo II e acquisito il diritto ad accedere in campo, una funzionaria di polizia ci tampina ansiosamente perché secondo lei sul terreno di gioco non possono accedere troppe persone. “Così ha detto l’arbitro”. Ovviamente la signora non solo non sa quello che dice ma è palesemente inesperta e fin troppo preoccupata, al cospetto di una situazione che appare invece tranquillissima. Una volta raggiunto il direttore di gara, infatti, non ci sono problemi: possiamo indossare le nostre pettorine e cominciare a scaldare gli obiettivi.

Evidentemente le turbolenze registrare qualche settimana fa contro la Nocerina hanno prodotto uno stato di agitazione massima nelle autorità locali.

Lo stadio registra un ottimo colpo d’occhio, con la tribuna di casa quasi sold out e il settore ospiti in cui stazionano i circa duecento tifosi barlettani. Faccio subito la mia piccola critica, almeno non mi si può dire di veder per forza sempre tutto bello e perfetto: dai tifosi biancorossi mi aspettavo qualcosa di più numericamente. Beninteso: parliamo pur sempre di una gara di Serie D e di una delle trasferte più lontane (circa tre ore di macchina), però il Barletta sta disputando un campionato ad alti livelli e i numeri pazzeschi registrati al Puttilli la dicono lunga sull’entusiasmo che – dopo anni di delusioni – ha pervaso la città.

Quando le squadre fanno il loro ingresso in campo, gli ultras granata si esibiscono in una cartata dal sapore antico, che suggella il colore dato dai bandieroni e dagli striscioni Tabularasa e Neretini che, ormai da qualche anno, caratterizzano i tifosi del Toro. Nota di merito: i ragazzi di Nardò non sembrano essere invischiati nel discorso “total black” a tutti i costi e, infatti, tra loro spiccano i colori sociali. Mi è capitato già in passato di commentare questo nuovo trend: non sono per la demonizzazione, ultras è un fenomeno di costume e da quando esiste, le più disparate mode si sono avvicendate sulle gradinate. Ciò che risulta stucchevole è l’emulazione estrema, sistematica. Cosa che, se vista in una forbice ancor più ampia, rappresenta l’abbassamento di fantasia e creatività che ormai da tanti anni imperversa da Nord a Sud. Rendendo vana quell’eterogeneità che da sempre ha contraddistinto le curve italiane.

Sta di fatto che i neretini sfoderano davvero una gran bella prestazione, che va crescendo con il passare del tempo. Tanta voce, buona partecipazione dello stadio e apice nel secondo tempo, quando la loro squadra trova il gol vittoria e induce i tifosi ad alzare ancor più i decibel. A spiccare è anche una bella sciarpata e il coro che invita tutti i presenti a raggiungere Altamura, per la trasferta infrasettimanale che chiuderà l’anno solare.

Per un osservatore esterno la Puglia è sempre un universo complesso da capire e decifrare. La differenza tra le diverse anime che la compongono è assai palese e in questo caso ascoltare gli autoctoni esprimersi in dialetto salentino, facendo da contraltare alla parlata barlettana, desta in me grande curiosità. Avessi tempo, fossi meno fanfarone, dovrei sbattere la testa su uno di quei tomi infiniti che narrano l’evoluzione dei dialetti su territorio nazionale. Perché la grande eredità culturale che si portano dietro, credo non sia ancora ben chiara a noi che quotidianamente li utilizziamo (in alcuni casi come idioma principale nella lingua parlata).

Fronte barlettano: i duecento biancorossi si cimentano in un bel primo tempo, facendosi sentire con grande continuità e compattandosi dietro la pezza del Gruppo Erotico (mi si permetta una seconda critica: da una tifoseria all’italiana come la loro mi aspetterei uno striscione più grande, o qualche pezza in più). Nella ripresa calano sensibilmente dopo il gol, dando però vita alla classica sciarpata sulle note di “Gente di Mare”, sempre meritevole di essere immortalata.

Indifferenza totale tra le due tifoserie.

Come detto, in campo è il Nardò a spuntarla grazie a una rete di Dambros. Un successo che lancia momentaneamente i granata al secondo posto, rendendo ancor più viva la lotta al vertice di un girone che con tutta probabilità è il più interessante di tutta la Serie D. La Cavese mantiene il primo posto ma a distanze minime dalle inseguitrici. Piazze storiche del calcio minore italiano che in questa stagione stanno fungendo da vero e proprio spot per la categoria, con stadi piedi, coreografie e tifo di tutto rispetto.

Rimaniamo sul campo un altro po’ dopo il fischio finale. I seguaci del Toro stanno festeggiando il successo con cori, sciarpate e canti per i diffidati. Le pezze vengono tolte solo quando qualcuno decide di spegnere la luce nello stadio. Il sole, infatti, nel rispetto del periodo dell’anno, sta scendendo e a breve il buio ricoprirà anche questo lembo d’Italia. Per noi la giornata non è finita, sulla strada di ritorno ci sarà ancora un Fidelis Andria-Latina da raccontare. Un viaggio tutt’altro che breve verso lo stadio Degli Ulivi, attraverso le superstrade locali che ti permettono di viaggiare in tutta comodità e non spendere un centesimo.

Ci lasciamo alle spalle Nardò e il suo Toro. I suo spalti festanti e un vento che minuto dopo minuto si va facendo più freddo. Ci lasciamo alle spalle quel sapore buono di provincia, dove l’aggregazione e la voglia di far primeggiare i propri colori è rimasta intatta e genuina. Ci lasciamo alle spalle un’altra storia da raccontare e altre foto da riguardare fra qualche anno, per lenire un momento di nostalgia e ricordarci che poi, tutto sommato, non abbiamo mai smesso di esaltarci e incuriosirci davanti a una curva che canta, cercando sempre un appiglio storico stampigliato sulle maglie in campo.

Testo Simone Meloni
 
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CAT_IMG Posted on 28/12/2022, 22:03
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Chi ha scritto l’articolo è veramente bravo.
 
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CAT_IMG Posted on 28/12/2022, 22:34
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Questa deve essere la nostra missione:
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Capisco quanto il Nardò sia sentito dalla cittadinanza nell’esatto momento in cui entro nel centro storico, trovando vicoli e vicoletti ricoperti di adesivi e addirittura sciarpe granata. Mentre nel baretto dove ci fermiamo a sorseggiare un caffè entrano alla rinfusa alcuni ragazzi con la sciarpa granata, scambiando opinioni sulla squadra con la ragazza addetta al banco e lasciando intendere che da queste parti retrocessioni e campionati anonimi non abbiano scalfito un’importante cultura sportiva lontana dai grandi palcoscenici della Serie A. Più identitaria e locale. Una base che dev’essere importante anche per portare avanti un discorso di tifo organizzato di una certa levatura.
 
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